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Una mappa mondiale delle disuguaglianze sociali

Oltre il 70 per cento della popolazione mondiale non gode di un’adeguata protezione sociale. Lo dice l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, agenzia specializzata delle Nazioni Unite che si occupa di promuovere la giustizia sociale e i diritti umani, con particolare riferimento a quelli riguardanti il lavoro in tutti i suoi aspetti. Secondo il recentissimo Rapporto mondiale sulla protezione sociale 2014/2105 dal titolo  “Costruire ripresa economica, sviluppo inclusivo e giustizia sociale” solo il 27 per cento della popolazione mondiale gode di accesso alla sicurezza sociale globale. La protezione sociale è uno strumento chiave delle politiche per la riduzione della povertà e delle disuguaglianze; mentre serve a stimolare una crescita inclusiva, migliorando la salute e le possibilità dei componenti più vulnerabili della società, è utile anche ad aumentare la produttività, a sostenere la domanda interna e a facilitare la trasformazione strutturale delle economie nazionali.

Durante la prima fase della crisi economico-finanziaria (2008-2009), almeno 48 paesi a reddito medio-alto hanno adottato misure di stimolo economico per un ammontare complessivo di 2.400 miliardi di dollari, di cui circa un quarto è servito a finanziare misure di protezione sociale. Nei paesi in cui è stato attuato, questo sostegno ha funzionato come uno stabilizzatore automatico che ha aiutato le economie a tornare in equilibrio e ha protetto dal disastro economico i disoccupati e i lavoratori precari. Ma nella seconda fase della crisi, a partire dal 2010, diversi governi hanno cambiato rotta, adottando misure di risanamento dei conti pubblici, nonostante fosse ancora urgente il bisogno di sostenere le popolazioni vulnerabili e di stabilizzare i consumi. “Diversamente da quello che si pensa comunemente, le misure di risanamento dei conti pubblici non sono state limitate all’Europa” ha detto Isabel Ortiz, Direttore del Dipartimento della Protezione Sociale dell’ILO. “In realtà, nel 2014, sono 122 i governi che stanno riducendo la spesa pubblica, e di essi 82 sono paesi in via di sviluppo”. Con il risultato di acuire l’ingiustizia sociale tra le varie fasce della società. Il rapporto mette poi in evidenza molte gli aspetti paradossali dei vari sistemi sociali. L’Italia si conferma come il paese dove la spesa pensionistica è la più alta al mondo se paragonata al PIL sfiorando quota 16% contro una media europea poco superiore al 9%. Per contro siamo inseriti tra quella realtà in cui è aumentato il rischio povertà per bambine e bambini: tra il 2007 e il 2012 in 19 stati membri dell’UE su 28 la povertà infantile è aumentata; in Bulgaria, Grecia, Italia, Romania e Spagna interessa o più di un quarto di questa fascia di popolazione.

Vengono infine esaminate le diverse tendenze che si stanno affermando a livello planetario. Ad esempio si evidenzia che a livello mondiale, i governi dedicano solo lo 0,4 per cento del PIL alle prestazioni per i bambini e per le famiglie, con differenze che vanno dal 2,2 per cento in Europa occidentale allo 0,2 per cento in Africa e nella regione asiatica e del Pacifico. Questi investimenti andrebbero aumentati, se si considera che circa 18.000 bambini muoiono ogni giorno, e che molte di queste morti potrebbero essere evitate con un’adeguata protezione sociale.  La spesa in protezione sociale per le persone in età lavorativa (ad esempio per le indennità di disoccupazione, la maternità, la disabilità o gli infortuni) varia a seconda delle regioni, tra lo 0,5 per cento in Africa e il 5,9 per cento in Europa occidentale. A livello mondiale, solo il 12 per cento dei lavoratori disoccupati riceve un’indennità di disoccupazione, con differenze che vanno dal 64 per cento dei disoccupati in Europa occidentale a meno del 3 per cento nel Medio Oriente e in Africa. Il 39 per cento della popolazione mondiale non è iscritta ad un sistema di protezione sanitaria. Il numero supera il 90 per cento nei paesi a basso reddito. L’ILO stima che, a livello mondiale, mancano 10,3 milioni di lavoratori della sanità che sarebbero necessari a garantire la qualità dei servizi sanitari per tutti coloro che ne hanno bisogno. Nonostante queste sfide, alcuni paesi — in particolare la Thailandia e il Sudafrica — sono risusciti in pochi anni ad instaurare una copertura sanitaria universale, dimostrando come ciò sia possibile.


Alessandro Prandi


Pubblicato su ateniesi.it l’11 giugno 2014

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