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Il carcere malato


La cura della salute rappresenta un aspetto cruciale del sistema carcerario. Garantire cure mediche adeguate alle persone detenute non è solo una questione di umanità, ma anche di diritti umani fondamentali. In Italia, la gestione della sanità penitenziaria ha subito significative trasformazioni negli ultimi decenni, riflettendo una crescente consapevolezza dell’importanza della salute all’interno delle carceri che rappresentano un surplus di bisogni sanitari: dentro ci si ammala statisticamente di più e per contro il carcere tende ad “attirare” a sé gruppi sociali che presentano condizioni di salute più compromesse della media della popolazione. Si potrebbe dire che in carcere “tutto è salute”. Un tema che nell’ultimo periodo è stato portato sotto i riflettori a causa dell’impennata del numero di suicidi che stanno avvenendo dietro le sbarre.

 

La riforma del 2008

Il 1º aprile 2008 aveva segnato una data storica per la sanità penitenziaria italiana. Già con il decreto legislativo n. 230 del 22 giugno 1999, la competenza per la salute dei detenuti era stata trasferita dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale. Un cambiamento che mirava a garantire, a chi si fosse ritrovato nella condizione di privazione libertà personale, le stesse cure mediche dei cittadini liberi. Veniva così promosso un modello di sanità penitenziaria integrato nel più ampio sistema sanitario pubblico. Il principio cardine della riforma del 2008 è l’equivalenza delle cure: i detenuti devono poter accedere alle stesse opportunità mediche disponibili ai cittadini liberi, senza discriminazioni. Gli obiettivi principali includono il miglioramento delle condizioni di salute tra le persone recluse, la promozione di programmi di prevenzione e l’integrazione dei servizi sanitari penitenziari con quelli territoriali gestiti dalle Regioni e dalle ASL.

Ma, nonostante la riforma, le risorse destinate alla sanità penitenziaria sono spesso insufficienti. La carenza di personale medico, infermieristico e psicologico è un problema cronico che limita la qualità e la quantità delle cure fornite. Inoltre, le strutture sanitarie all’interno delle carceri sono spesso inadeguate o obsolete.

Si presenta un intreccio tra questioni culturali e questioni strutturali che ostacolano il raggiungimento dell’equivalenza: condizioni degradate e insalubri degli istituti penitenziari, negata autodeterminazione preclusa in carcere come ad esempio la libera scelta del medico, la sfiducia trasversale tra personale medico e pazienti-detenuti dovuto all’alto turnover dei reclusi, dalla mancata garanzia di continuità delle cure, dalla turnazione di medici e specialisti e dalla complessa organizzazione delle visite esterne agli istituti. Una vera e propria emergenza considerato che il sistema penitenziario non si riesce ad attrarre e conservare professionalità ed esperienze in campo medico e specialistico, per altro in un ambito di mancati riconoscimenti economici o di avanzamento di carriere.

Uno studio piuttosto datato 2014, ma ancora significativo, dell’Azienda Regionale Sanitaria della Toscana condotto su 16.000 detenuti, definitiva che oltre il 70% del campione era affetto da almeno una disfunzione: il 40%  da patologie psichiatriche, il 11,6% da malattie dell’apparato digerente, il 11,4% da malattie infettive  (epatite C, epatite B e HIV).

 

Il sovraffollamento

Le prigioni sovraffollate rendono difficile garantire condizioni igieniche adeguate e ostacolano l’accesso alle cure mediche. Il sovraffollamento contribuisce anche alla diffusione di malattie infettive, aumentando il rischio per la salute dei detenuti e del personale carcerario. Il 10 giugno scorso, su 61.507 detenuti in carcere, per una capienza regolare di circa 51.000 posti e una capienza reale di appena 47.000, erano 1.529 le persone con una pena inflitta inferiore a un anno, 2.991 fra uno e due anni e 4.911 fra due e tre anni per un totale complessivo di 9.431 persone detenute con una pena inferiore a tre anni. Considerando, invece, la pena residua da scontare, risultavano ben 23.443 persone detenute con una previsione di liberazione entro tre anni: 7.954 con meno di un anno, 8.376 fra uno e due anni, e 7.113 fra due e tre anni. Una platea davvero consistente di detenuti con pene brevi o brevissime o in procinto di riacquistare la libertà per le quali si sa che i percorsi trattamentali di presa in carico sarebbero molto più efficaci ed efficienti in riferimento alla recidiva e quindi alla sicurezza sociale del Paese.

 

Com’è organizzata la sanità penitenziaria in Piemonte

La delibera regionale n. 26/2016 (modificata con due successivi interventi: DGP n. 8/2021 e DGR n. 16/2021) organizza l’assistenza sanitaria nelle carceri piemontesi. In generale si ipotizzano tre livelli esattamente come all’esterno: il livello Base, il livello Spoke e il livello Hub.

L’assistenza Base riguarda gli istituti di Fossano, Alba e Verbania, dove è prevista una copertura medica di 12 ore al giorno. Un’assistenza Spoke, cioè di maggiore intensità, è prevista a Saluzzo, Vercelli, Novara, Biella, Ivrea e Alessandria “Don Soria”: servizio sanitario di 24 ore al giorno e una presenza di attività specialistica più ampia, comprensiva, oltre a quelle base, anche di cardiologia, ortopedia, oculistica, urologia, diabetologia e dermatologia. Nello specifico è prevista anche un’assistenza infermieristica continuativa, almeno di 12 ore al giorno e un coordinatore degli infermieri. L’assistenza Hub comprende Asti, Cuneo, Alessandria San Michele e Torino, dove è presente un’assistenza sanitaria specialistica completa e la presenza assidua di medici infermieri, con l’esplicita previsione di posti letti dedicati nei presidi sanitari ospedalieri dell’ASL di riferimento.


La salute mentale

L’associazione Antigone conduce da ormai vent’anni uno straordinario lavoro di osservazione sulle condizione del sistema penitenziario italiano. Nell’ultimo rapporto del 2023 uno dei focus era incentrato sulle situazione circa le malattie mentali della popolazione detenuta. La percezione diffusa tra gli operatori, si legge, è che le patologie psichiche siano in continuo ed esponenziale aumento e che gli strumenti e le risorse a disposizione per trattarle siano sempre più scarse e inadeguate. È vulgata comune che tali criticità siano aumentate in seguito alla chiusura degli OPG (Ospedale Psichiatrico Giudiziario) avvenuta a partite dal 2015 con l’avvento delle REMS (Residenza per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza). In assenza di specifiche indagini epidemiologiche in merito su larga scala è difficile asseverare tali affermazioni. 

Dalla diretta rilevazione svolta da Antigone nel corso del 2022 emerge che le diagnosi psichiatriche gravi erano 9,2 ogni 100 detenuti. Accanto ai numeri delle persone con una diagnosi medicalmente definita, c’era il 20% (percentuale doppia ai detenuti con diagnosi) che assumeva stabilizzanti dell’umore, antipsicotici o antidepressivi ed addirittura il 40,3% sedativi o ipnotici. A fronte di questo le ore di servizio degli psichiatri erano in media 8,75 ogni 100 detenuti, quelle degli psicologi 18,5. Scorporando i numeri per genere, si scopre che il disagio psichico sia maggiore tra le donne detenute piuttosto che tra gli uomini. Le donne con diagnosi psichiatriche gravi rappresentavano, negli istituti visitati, il 12,4% delle presenti, contro il 9,2% della rilevazione complessiva; le donne che facevano regolarmente uso di psicofarmaci rappresentavano invece il 63,8% delle presenti, contro il 41,6% complessivo. Si tratta di numeri molto rilevanti, che non trovano minimamente corrispettivo nella popolazione libera e che indicano che la strada verso “carceri psichiatrizzate” sembra ormai senza ritorno.

Il tutto a fronte dei “solo” 256 pazienti reclusi nelle 34 Articolazioni per la Tutela della Salute Mentale (ATSM) presenti in 32 carceri italiane.

Carcere e droghe

Restano catastrofici, pur in leggera diminuzione, i dati sugli ingressi e le presenze di detenuti definiti "tossicodipendenti": lo sono il 38,1% di coloro che entrano in carcere. Questa presenza record in termini assoluti (dal 2006 ad oggi) è alimentata dal continuo ingresso in carcere di persone "tossicodipendenti", che dopo i due anni di pandemia ha ripreso ad aumentare (+ 18,4% rispetto al 2021).

Lo si legge sulla quindicesima edizione del Libro bianco sulle droghe, presentata a fine giugno 2024 e promosso da una rete composta da Società della Ragione, Forum Droghe, Antigone, Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA), CGIL, Associazione Luca Coscioni, ARCI, Lega italiana per la lotta contro l’AIDS (LILA) e Legacoopsociali.

La legislazione sulle droghe e l’uso che ne viene fatto sono decisivi nella determinazione dei saldi della repressione penale: la de-cancerizzazione passa attraverso la decriminalizzazione delle condotte legate alla circolazione delle sostanze stupefacenti così come le politiche di tolleranza zero e di controllo sociale coattivo si fondano sulla loro criminalizzazione. Basti pensare che in assenza di detenuti per art. 73. o di quelli dichiarati tossicodipendenti, non vi sarebbe il problema del sovraffollamento carcerario, come indicato dalle simulazioni prodotte. Dopo trentaquattro anni di applicazione non si possono

considerare questi come effetti collaterali della legislazione antidroga, ma come effetti evidentemente voluti. Come visto in precedenza ad inizio 2024 i detenuti in carcere sfondano quota 60mila 2023). Di questi ben 12.946 lo erano a causa del solo art. 73 del Testo unico. Altri 6.575 in associazione con l’art. 74 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope), solo 994 esclusivamente per l’art. 74. Si tratta del 34,1% del totale. Sostanzialmente il doppio delle media europea (18%) e molto di più di quella mondiale (22%).

 

I suicidi

Il 18 marzo scorso al Quirinale, rivolgendosi alla Polizia penitenziaria, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha sollecitato la necessità e l’urgenza di interventi – anche eccezionali – per affrontare il drammatico fenomeno del sovraffollamento carcerario e il crescente numero di suicidi nell’ambito della comunità penitenziaria. Il numero di persone che si sono tolte la vita nelle carceri italiane, dall’inizio dell’anno, ha raggiunto la tragica quota di 45, con una forte incidenza nel periodo delle festività natalizie e un’allarmante escalation in questi ultimi giorni, con l’arrivo del caldo: si teme un’estate drammatica e un anno da record assoluto, dopo gli 85 suicidi del 2022 e i 69 del 2023.

La Conferenza nazionale dei Garanti territoriali ha fatto proprio il monito del Presidente proponendo iniziative pubbliche il 18 aprile, il 18 maggio e il 18 giugno attraverso appelli diretti alle istituzioni e all’opinione pubblica, sintetizzati dallo slogan “Indignarsi non basta più!”.

«Come Conferenza nazionale - afferma Bruno Mellano, Garante regionale del Piemonte - abbiamo voluto non fermarci all’indispensabile denuncia della situazione, ma abbiamo provato a indicare soluzioni praticabili qui e ora. Occorre, intanto, avere l’onestà intellettuale di ammettere che, in attesa delle migliori riforme di sistema, serve immediatamente qualche provvedimento urgente che permetta di dare concretezza all’esecuzione penale esterna per chi sia a fine pena o abbia una condanna da scontare inferiore a un anno, garantendo percorsi di presa in carico fra il dentro e il fuori, che sappiamo rappresentare la risposta più giusta ed efficace contro la recidiva

 

«Oggi il carcere tra erosione dell’individualità ed straniamento, è sempre più un non-luogo, una

periferia dimenticata, l’inutile immobilizzatore di corpi, soprattutto provenienti dalle frange disagiate

della società: tossicodipendenti, extracomunitari…» spiega Anna Paola Lacatena, dirigente Sociologa I livello presso il Dipartimento Dipendenze patologiche della Asl di Taranto.

Garantire cure adeguate ai detenuti non è solo una questione di diritti umani, ma anche di salute pubblica. Per potenziare la tutela della salute dentro al carcere servirebbe sviluppare raccolta dati e ricerca sul campo (epidemiologica e non), rafforzare la presa in carico, il dialogo e collaborazione tra i tanti attori coinvolti e inserire la questione della tutela della salute dentro al carcere nel più ampio dibattito sulle funzioni della pena e su una prospettiva di residualità del penitenziario.

 

 Alessandro Prandi - Pubblicato su Solidea, luglio 2024

 

Per approfondire

  • Salute nella polis carceraria: evoluzione della medicina penitenziaria e nuovi modelli operativi - Istituto Superiore di Sanità. 2022.

  • Diciannovesimo rapporto sulle condizioni di detenzione - Associazione Antigone. 2023.

  • Il gioco si fa duro, quindicesimo Libro Bianco sulle Droghe - A cura di: Grazia Zuffa, Franco Corleone, Stefano Anastasia, Leonardo Fiorentini, Marco Perduca, Maurizio Cianchella. 2024.

  • Dossier sanità penitenziaria - Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Piemonte. 2023.

  • Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria - ww.sanitapenitenziaria.org.

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