Il digital divide e lo sviluppo economico e sociale del Paese.
La Strategia italiana per l’accesso alla banda ultra larga, finanziata dallo Stato, prevedeva 6.200 cantieri in Comuni nelle aree interne, periferiche e montane. Ma i lavori sono indietro: a inizio 2021 era coperto il 16% del territorio interessato.
Con il termine Digital Divide si intende il divario tra coloro che possono utilizzare le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione e coloro che, per motivi tecnici, economici o sociali non sono in grado di utilizzarle.
Il recente “Rapporto sul benessere equo e sostenibile” dell’ISTAT, fotografa quello che è lo stato dell’Italia durante la pandemia. Un dato emerge con violenza dai numeri del rapporto: i ritardi che paghiamo in termini di digital divide si sono pesantemente rivoltati contro chi subisce questa situazione, rischiando isolamenti e ritardi ancor maggiori. Un prezzo salatissimo che parte della popolazione sta pagando e che pagherà a lungo, perché quanto successo nel 2020 e continua a succedere non si recupera più.
l divario culturale è misurabile nell’abitudine all’accesso: “Nel 2020 il 69,2% della popolazione di 11 anni e più ha utilizzato internet regolarmente, ovvero almeno una volta a settimana nei 3 mesi precedenti l’intervista. Tra il 2019 e il 2020 si registra l’incremento annuale più elevato degli ultimi 7 anni, dovuto anche all’accelerazione determinata dalla crisi pandemica. La quasi totalità dei ragazzi di 15-24 anni naviga in rete (oltre il 90%), mentre per le persone di 60-64 anni la quota di internauti scende al 66,6%, e arriva al 44% tra le persone di 65-74 anni; in questi segmenti di utilizzatori meno assidui si registrano però gli incrementi più significativi rispetto all’anno precedente.
I dati evidenziano anche elementi trasversali molto utili per comprendere dove occorra incidere maggiormente con politiche di inclusione: “Si confermano, anche nel 2020, ampie e invariate differenze territoriali. Lo svantaggio del Mezzogiorno (63,4%) è reso particolarmente evidente da uno scarto di 9 punti percentuali rispetto al Nord e al Centro (72,3%). Nel 2020, in Italia, il 66,7% delle famiglie dispone di un accesso ad internet e di almeno un computer. Rispetto al 2019 si registra un aumento di 1,6 punti percentuali, dovuto esclusivamente all’incremento delle famiglie che dispongono di un accesso ad internet (che passano dal 76,1% al 79,6%) mentre non si osservano variazioni significative per quanto riguarda la disponibilità di un pc".
Ciò ha determinato un colpo drammatico a livello di formazione: nell’anno della DaD, infatti, sono molti i ragazzi che non hanno potuto accedervi. Secondo alcune stime, almeno l’8% dei ragazzi non ha potuto giovarne, restando quindi completamente isolati rispetto al – pur rallentato – percorso didattico dei coetanei: “L’impatto del livello di istruzione dei componenti della famiglia sulle dotazioni e l’utilizzo delle ICT è molto forte, cosi come la presenza di almeno un minore in famiglia. Infatti la quasi totalità delle famiglie mediamente più istruite (in cui almeno un componente è laureato) dispone di una connessione e di almeno un pc (92,8%), quota che scende al 31,7% quando il titolo più elevato in famiglia è la licenza media. Analoga tendenza si riscontra per le famiglie in cui è presente almeno un minore (87,4%) contro quelle composte di soli anziani (30,2%). Tali divari rimangono stabili rispetto al 2019”.
L’Italia al 25° posto sui 28 Paesi UE
Una situazione confermata anche dalle annuali indagini condotte a livello Europeo. L'Indice dell'economia e della società digitale (DESI) è un indice composito che riassume gli indicatori pertinenti sulle prestazioni digitali dell'Europa e traccia l'evoluzione degli Stati membri dell'UE nella competitività digitale.
Le relazioni DESI sono lo strumento mediante cui la Commissione Europea monitora il progresso digitale degli Stati membri dal 2014. Le relazioni DESI comprendono sia profili nazionali che capitoli tematici. Alla relazione per ciascuno Stato membro è allegato anche un capitolo di approfondimento dedicato alle telecomunicazioni. Le relazioni nazionali raccolgono prove quantitative sotto i cinque aspetti dell'indice, con approfondimenti specifici per paese riguardanti le politiche e le migliori prassi.
L'attuale pandemia di Covid-19 ha dimostrato quanto le risorse digitali siano diventate importanti per le nostre economie e come le reti e la connettività, i dati, l'intelligenza artificiale e il supercalcolo, come pure le competenze digitali di base e avanzate, sostengano le nostre economie e società, rendendo possibile la prosecuzione del lavoro, monitorando la diffusione del virus e accelerando la ricerca di farmaci e vaccini.
Per l'edizione 2020 dell'indice DESI l'Italia si colloca al 25º posto fra i 28 Stati membri dell'UE. I dati precedenti la pandemia indicano che il paese è in una buona posizione in termini di preparazione al 5G, in quanto sono state assegnate tutte le bande pioniere e sono stati lanciati i primi servizi commerciali. Sussistono carenze significative per quanto riguarda il capitale umano. Rispetto alla media UE, l'Italia registra livelli di competenze digitali di base e avanzate molto bassi. Anche il numero di specialisti e laureati nel settore TIC è molto al di sotto della media UE. Queste carenze in termini di competenze digitali si riflettono nel modesto utilizzo dei servizi online, compresi i servizi pubblici digitali. Solo il 74% degli italiani usa abitualmente Internet. Sebbene il paese si collochi in una posizione relativamente alta nell'offerta di servizi pubblici digitali (e-government), il loro utilizzo rimane scarso. Analogamente, le imprese italiane presentano ritardi nell'utilizzo di tecnologie come il cloud e i big data, così come per quanto riguarda l'adozione del commercio elettronico.
Aree interne. La parte sconnessa dell’Italia
Una situazione resa ancora più complessa per gli italiani che vivono nelle cosiddette Aree interne.
Si tratta di zone significativamente distanti dai centri di offerta di servizi essenziali (di istruzione, salute e mobilità), ricche di importanti risorse ambientali e culturali e fortemente diversificate per natura e a seguito di secolari processi di antropizzazione. Vive in queste aree circa un quarto della popolazione
italiana, in una porzione di territorio che supera il sessanta per cento di quello totale e che è organizzata in oltre quattromila Comuni.
Una parte rilevante delle Aree interne ha subito gradualmente, dal secondo dopoguerra, un processo di marginalizzazione segnato da: calo della popolazione, talora sotto la soglia critica; riduzione dell’occupazione e dell’utilizzo del territorio; offerta locale calante di servizi pubblici e privati; costi sociali per l’intera nazione, quali il dissesto idro-geologico e il degrado del patrimonio culturale e paesaggistico.
Nel contempo alcune di queste zone sono state spazio di buone politiche e buone pratiche a esito delle quali: la popolazione è rimasta stabile o è cresciuta; i Comuni hanno cooperato per la produzione di servizi essenziali; le risorse ambientali o culturali sono state tutelate e valorizzate. Dimostrando così la non inevitabilità del processo generale di marginalizzazione e la capacità di queste aree di concorrere a processi di crescita e coesione.
Oltre a costituire un prerequisito di crescente rilevanza per lo sviluppo territoriale, la natura abilitante delle tecnologie digitali costituisce un fattore cruciale sia per mitigare gli svantaggi a carico delle Aree interne derivanti dalla loro minore accessibilità spaziale ai servizi di base, sia per favorire l’interconnessione interna alle stesse Aree, che soffrono in misura maggiore rispetto ai poli urbani delle carenze nella disponibilità di banda larga. Al tempo stesso un’adeguata dotazione di tecnologie di comunicazione telematica permette anche l’utilizzo di soluzioni innovative nell’offerta dei servizi, ad esempio la telemedicina ed educazione a distanza.
Come spiega Luca Martinelli su Altreconomia “In Italia meno della metà delle famiglie che vivono nei Comuni sotto i duemila abitanti ha accesso a una connessione fissa a banda larga. Nella maggior parte dei casi ci si connette ancora usando l’Adsl, inviando e ricevendo dati usando il doppino in rame. Secondo l’Istat questo dato è circa del 10% inferiore rispetto a quello medio del Paese, 45,1% contro 54,3%”.
Abbiamo un Piano. Funziona?
Il 3 Marzo 2015 il Governo italiano ha approvato la Strategia Italiana per la Banda Ultralarga, al fine di ridurre il gap infrastrutturale e di mercato esistente, attraverso la creazione di condizioni più favorevoli allo sviluppo integrato delle infrastrutture di telecomunicazione fisse e mobili. La Strategia che rappresenta il quadro nazionale di riferimento per le iniziative pubbliche a sostegno dello sviluppo delle reti a banda ultralarga in Italia. L’obiettivo è quello di sviluppare una rete sull’intero territorio nazionale per creare un’infrastruttura pubblica di telecomunicazioni coerente con le finalità dell’Agenda Digitale Europea. Il Ministero dello Sviluppo economico attua le misure definite per la strategia nazionale anche attraverso la sua società in house Infratel che ha come missione quella di curare i programmi di infrastrutturazione del Paese operando di ridurre il gap infrastrutturale e di mercato esistente in alcune aree del Paese, attraverso la creazione di condizioni più favorevoli allo sviluppo integrato delle infrastrutture di telecomunicazione fisse e mobili, e rappresenta il quadro nazionale di riferimento per le iniziative pubbliche a sostegno dello sviluppo delle
La prima fase dell’attuazione della Strategia riguarda le aree a fallimento di mercato (aree bianche) presenti sull’intero territorio nazionale. Il coordinamento tra Ministero dello Sviluppo Economico e amministrazioni locali è assicurato tramite un accordo quadro siglato in data 11 febbraio 2016 tra il Ministero dello Sviluppo Economico, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e le Regioni.
L’intervento consiste nel costruire una rete di proprietà pubblica che verrà messa a disposizione di tutti gli operatori che vorranno attivare servizi verso cittadini ed imprese.
Dall’effettiva data di inizio della fase “Interventi a Concessione”, il 1° Gennaio 2018, Infratel ha preparato attività e pianificato numerosi cantieri affinché si raggiungesse al più presto l’obiettivo stabilito: 6.232 comuni coperti dalla banda larga.
Secondo gli ultimi rilevamenti a febbraio 2021 erano 1.073 i cantieri completati.
Amministrazioni locali e Società civile: richieste e proposte
In tale contesto di grande ritardo del nostro Paese si inseriscono una serie di proposte e di richieste provenienti da più fronti.
Nel gennaio 2020 l’UNCEM (Unione nazionale Comuni, Comunità, Enti Montani) nell’audizione del gennaio 2020 con l’allora Ministro per l'innovazione tecnologica e la transizione digitale, Paola Pisano, metteva il digo nella piaga: “Le reti tra Comuni devono essere collegate. Deve crescere l'informazione verso i Comuni e verso i cittadini. Le aziende "degli scavi", operative, che hanno vinto i subappalti da Open Fiber, devono modificare l'approccio al piano, investire di più. Assistiamo al subappalto del subappalto. Serve un coinvolgimento di nuove imprese con un piano straordinario per i lavori che devono procedere in parallelo in decine di Comuni ogni giorno e ogni mese. I tempi sono stretti (risorse europee da spendere e rendicontare entro il 2021) e non è concesso perdere giorni e settimane sul Piano Banda Ultralarga”.
Fa eco l’Associazione Nazionale Comuni Italiani per bocca di Luca Della Bitta, presidente della commissione Innovazione e Attività produttive: “E’ arrivato il momento di eliminare definitivamente il digital divide che ancora oggi affligge molte aree del Paese, procedendo con decisione nell’attuazione dei piani di sia sulla rete fissa che mobile e nella collaborazione fra soggetti pubblici locali e operatori di telecomunicazioni. In caso contrario, non si può pensare di raggiungere l’obiettivo di arrestare lo spopolamento delle aree interne”.
Nel suo rapporto “Per un’Italia più verde, innovativa e inclusiva” Legambiente afferma: “Dobbiamo recuperare velocemente i ritardi sulla digitalizzazione del Paese per chi deve, o vuole, studiare o lavorare da casa, in città e nei piccoli comuni, in pianura, nelle isole e nelle aree montane, ma anche per chi vuole promuovere l’innovazione tecnologica nella propria impresa.”
“Per riattivare percorsi di sviluppo a prova di futuro - afferma Paolo Venturi, direttore di AICON - occorre rilanciare la radicalità di una convergenza fra economico e sociale: una convergenza che oggi il digitale è in grado di attivare, aumentare e scalare, come mai prima nella storia. Digital First” e Local First sono i due imperativi di un nuovo scenario già in allestimento: l’emergenza non è solo il tempo della resistenza, ma anche quello in cui si inizia a coltivare il cambiamento”.
Alessandro Prandi
Articolo uscito su Solidea, aprile 2021
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