Patto, Partnership, Metodo, Corresponsabilità e Innovazione: parole chiave di una nuova stagione di collaborazione tra Pubblico e Privato Sociale
Man mano che con fatica procede la messa in pratica e se ne approfondiscono i contenuti, la Riforma del Terzo Settore si svela piuttosto che una soluzione settoriale, come la chiave verso un nuovo paradigma perché contribuisce non semplicemente a riordinare, ma a mettere in movimento una parte di società finora rinchiusa nelle proprie singolarità dentro a forme giuridiche tra loro non comunicanti. Il Terzo Settore sotto questa luce mette in mostra la sua natura più dinamica non solo in termini di capacità di mobilitazione, ma anche di volano per attivare nuove competenze e generare innovazione. Da più parti e con grande lucidità, è stato detto, da tempo, che il problema giuridico della definizione del Terzo settore non è una questione di diritto privato (cioè di regolazione dei rapporti reciproci fra soggetti privati), né di diritto amministrativo (ovvero di disciplina dei rapporti fra soggetti privati e pubblica amministrazione), bensì un problema di diritto costituzionale.
Sul versante dei rapporti con il primo settore – la Pubblica amministrazione – si sta realizzando, in forme non lineari e non pacifiche (si veda il recente parere del Consiglio di Stato a proposito del rapporto fra Codice del Terzo settore e Codice dei contratti pubblici), un coinvolgimento sempre più forte ed inclusivo fra Pubblica Amministrazione ed Enti del Terzo settore, a partire dalla co-programmazione degli interventi e delle iniziative da mettere in atto sui territori. Già possono considerarsi come “modelli” diffusi e consolidati le partnership sempre più paritarie e collaborative nel campo della gestione dei beni comuni; ma segnali di novità giungono da esperienze nelle quali la pubblica amministrazione addirittura dà vita ad una impresa sociale, in forma societaria, per la gestione dei servizi sociali di un territorio, nella quale – per espressa previsione normativa – essa rimarrà minoritaria, non potrà assumere la presidenza né esercitare forme di indirizzo e coordinamento. Si tratta di un’ibridazione sempre più spinta legata alla gestione della funzione pubblica rispetto alla quale il Terzo settore viene oggi giuridicamente riconosciuto non solo per gli ambiti, ormai consolidati, del welfare sociale, o per alcune forme giuridiche, ma in tutta la sua pletora di attori e di settori indicati dalla normativa (ambiente, cultura, turismo, rigenerazione, ecc.).
Se, formalmente, i confini rimangono intatti, sostanzialmente può rilevarsi come tale modello – se avrà successo – segni in realtà un definitivo superamento della distinzione fra primo e terzo settore, verso un’area grigia nella quale le responsabilità e le capacità dei due attori si compenetrano, anche giuridicamente. Merita di essere ricordata anche l’esperienza delle fondazioni di partecipazione che, dopo qualche fibrillazione dovuta ad orientamenti legislativi non chiari né perspicui, forse tornano a candidarsi come modello per lo sviluppo di alcuni ambiti di attività di interesse generale. Una tendenza che peraltro riguarda i soggetti filantropici nel loro complesso, che appaiono sempre più orientati a svolgere una funzione di “orchestratori di reti”, anche di soggetti pubblici e altri attori nonprofit, all’interno di sistemi territoriali orientati a valorizzare elementi di inclusività e di coesione sociale.
Il Welfare locale non è prodotto unicamente e neanche principalmente dalla Pubblica Amministrazione ma dall'intera comunità nelle sue diverse articolazioni. Nel giro di un trentennio si è passati dall’esternalizzazione dei servizi alla progettazione partecipata - dovuta nella seconda metà degli anni ‘90 del secolo scorso alle leggi di settore e con rinnovato impulso, dal 2000 all'introduzione dei piani di zona - per entrare nell'era della co-progettazione come risposta agli effetti devastanti della crisi economica. Il pubblico è passato dall'essere il committente, con funzioni di regolazione dei rapporti amministrativi, di controllo della qualità dei servizi e di programmazione a partner della co-progettazione mantenendo la titolarità delle politiche pubbliche a affidare il potere decisionale sulle scelte progettuali ed il conseguente rischio d’impresa al Terzo Settore concordando le attività in appositi Patti di co-progettazione. Da un punto di vista “metodologico” con co-progettazione si intende: un metodo per costruire politiche pubbliche coinvolgendo risorse e punti di vista diversi, provenienti dal soggetto pubblico e dal terzo settore. Una partnership costituita per sviluppare esperienze innovative, da membri di organizzazioni diverse, che prevede partecipazione, coinvolgimento, impegno ed appartenenza per la costruzione di una nuova aggregazione organizzativa finalizzata alla realizzazione di un obiettivo comune.
La sfida che tanto le Pubbliche amministrazioni quanto gli Enti di Terzo Settore dovranno affrontare sarà essere partner, e non più committenti, fornitori o competitori. Stare in relazione ossia assumere alcuni elementi che sono oggettivamente faticosi da generare e mantenere: riconoscersi reciprocamente, e riconoscere le rispettive differenze, accordare un certo grado di fiducia gli uni agli altri e soprattutto costruire un linguaggio e una identità comuni.
Alessandro Prandi
Pubblicato su Solidea gennaio 2019
Riferimenti
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